Può un pomodoro sfidare il caporalato? Sì. E in Puglia lo sanno bene. L’oro rosso, il pomodoro pugliese, è ancora nelle mani 7-8 latifondisti che fanno il bello e il cattivo tempo con la complicità di molti. Però c’è chi ha detto di no. E così nasce Sfrutta zero, un progetto di auto-produzione del pomodoro di tipo cooperativo e mutualistico.
Sfrutta zero, un’idea rivoluzionaria
La raccolta dei pomodori in Puglia è tristemente nota per lo sfruttamento di migranti nella raccolta di questa materia prima. Ma come nasce Sfrutta zero? Tutto nasce da due realtà del sud Italia, Diritti a sud di Nardò e Netzanet-Solidaria di Bari, nel 2014. Entrambe le associazioni si occupano di diritto all’accoglienza, alla casa e al lavoro dei migranti e dei braccianti agricoli. L’idea in comune è stata di unire le forze per andare a incidere sulle filiere agro-alimentari nelle mani dell’agro-business e delle mafie. Un’idea semplice quanto antica. Unire le forze in chiave mutualistica, cambiare le relazioni tra datore di lavoro e dipendente e tra produttori e consumatori. Il fine ultimo è quello di difendere i diritti sociali e individuali, riutilizzare gli immobili abbandonati e praticare l’agricoltura sociale. Il risultato è la creazione di circuiti di auto-produzioni indipendenti dall’agro-industria.
Hanno, quindi, deciso di avviare la produzione di conserve nel pieno rispetto dei lavoratori. Con un focus particolare: gli immigrati e i giovani disoccupati. Spesso sono due categorie che vengono contrapposte, tendiamo a mettere l’una contro l’altra. Sfrutta zero vuole superare l’idea che gli stranieri vengano qui a rubarci il lavoro. Vuole, invece, unire i due soggetti che oggi vivono in prima persona gli effetti della crisi, con una precarietà diffusa e a tempo indeterminato.
Il pomodoro solidale
Come funziona? È molto semplice. Acquistano o coltivano diversi pomodori, sempre garantendo che i lavoratori e le lavoratrici, contadini e braccianti, migranti e non, siano retribuiti dignitosamente. Trasformano, poi, il pomodoro in salsa Supervisionati e coordinati da contadini e contadine competenti. Nessun dettaglio è lasciato al caso: durante la fase di imbottigliamento, laddove possibile, si utilizzano bottiglie riciclate.
I prodotti vengono poi distribuiti in autogestione, all’interno dei gruppi di acquisto solidale, in mercatini locali, presso ristoranti e mense popolari, negli spazi sociali, all’interno della rete Fuori Mercato e di Genuino Clandestino. Come riconoscerli? Dalle etichette con il logo “Sfrutta Zero”.
Potrete trovarla un po’ ovunque in Italia. La salsa a sfruttamento zero arriva oggi a Milano, Verona, Mantova, Padova, Roma, Salerno, Casoria, Napoli, Firenze. È il modello del mutualismo 2.0. Una delle tante pratiche per sostenere il lavoro etico e sostenibile.